Abbiamo già introdotto la figura dell’Impact Producer in questo articolo e ne abbiamo intervistato uno in carne ed ossa, Paolo Pallavidino, qui.
Stavolta analizzeremo un caso specifico grazie al contributo della sales agent e consulente torinese Mariachiara Martina, che ha seguito insieme a Paolo Pallavidino la distribuzione del documentario del 2010 Vivere senza soldi (Living without money). Per il progetto è stato applicato un modello distributivo analogo a quello dell’Impact Producer, anni prima che venisse coniato e definito da BritDoc, che non ha fatto altro che dare un nome e uno sviluppo a una tendenza già in atto sul mercato del documentario.
Il documentario Vivere Senza Soldi ci racconta la vita di Heidemarie Schwermer, una donna tedesca di 68 anni che 14 anni fa fece una scelta estrema: non usare più soldi. Con un’unica valigia di vestiti lascia il suo appartamento e regala tutto ciò che possiede, cambiando radicalmente la sua intera esistenza.
Lasciamo la parola a Mariachiara Martina:
“Quando Paolo Pallavidino ed il frizzante team di Living Without Money mi ha sottoposto il titolo per valutarne la distribuzione, ho dovuto mettermi il caschetto… da geometra!
Mi spiego: non è che puoi pensare di fare il distributore tradizionale – che già non è il mio modello – con un progetto del genere… devi prendere le misure, in un certo senso…
Living without money era, e rimane, un prodotto che va oltre se stesso perché parla ad una comunità silente ma in fermento, pivotal per la diffusione di contenuti del genere dal basso. Ma al contempo, era e rimane un prodotto che può disturbare perché mette il dito nella piaga di un certo tipo di modello economico obiettivamente arrivato al capolinea ma che fatica a riconoscerlo. Non è un caso che sia stato bocciato in alcune specifiche realtà broadcast che avrebbero avuto, comunque, gli slot giusti.
La sfida, dunque, è stata duplice: operare un bilanciamento tra potenzialità e limiti del prodotto e creare una sintesi tra modalità di “movimentazione” del titolo molto diverse.
Azioni innovative di “branding” sul documentario nel mondo delle community di riferimento – in cui erano molto ben inseriti i produttori – hanno aiutato a generare un crescendo di situazioni utili a attirare l’attenzione dei media tradizionali su un documentario intelligentemente provocatorio e particolarmente timing per la tipologia del messaggio e la crisi finanziaria in corso. A questo, la messa a fuoco di una strategia di distribuzione tradizionale, usando tutti i punti di forza dei segnali che venivano dall’operazione sul territorio, ha certamente consentito di incanalare il flusso verso concrete cessioni di diritti.
E’ chiaro che tutto questo è stato possibile grazie ad un lavoro di gruppo formidabile associata ad una buona dose di visione delle cose che definirei un po’ naif, capace, cioè, di andare oltre gli stretti paletti del modus operandi tradizionale tra distributore e produttore rappresentato. Se vogliamo, è stato un percorso in contro-mano: siamo partiti scommettendo sull’anello finale della catena (il pubblico) per essere cercati dai media.
Ricordo nettamente la sensazione che provavo mentre eravamo nel vivo della promozione di LWM: pareva di dirigere un’orchestra composta da musicisti di gran talento con qualche guizzo fuori programma. Insomma, tolto il caschetto, sono passata alla bacchetta! E la melodia che ne è venuta fuori ce la ricordiamo ancora tutti”.
Per contattare Mariachiara Martina scrivere a: [email protected]
di Stefano Mutolo e Mariachiara Martina